A Salvation Baby
“Il Neonato Pretermine”
IL NEONATO PRETERMINE
Viene definito pretermine (o prematuro) un bambino nato prima della 37° settimana di gestazione.
I nati pretermine sono classificati come “estremamente pretermine”, “molto pretermine”, “lievemente
pretermine”, “late preterm” cioè quasi a termine, considerando come criteri l’età gestazionale espressa in
settimane e giorni e il peso corporeo.
Con la nascita prematura il neonato dovrà continuare la sua crescita nell’ambiente extrauterino,
affrontando le difficoltà e i rischi dovuti a questa condizione, poiché molti organi e apparati non hanno
raggiunto la maturità fisiologica.
La terapia intensiva neonatale (T.I.N.) è il luogo dove il neonato pretermine viene accolto alla nascita e
dove riceve le cure più adatte per essere sostenuto nel suo percorso di crescita.
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“LUI, VOI, LORO E LA PREMATURITÁ”
“C’è una cameretta con le pareti color cielo d’estate, quando tutto è luce e le giornate sono lunghe e
calme. C’è un lettino bianco con sopra le lenzuola ancora impacchettate, che “tanto è presto e così
non prendono polvere”. Ci sono tante tutine colorate, body con teneri orsetti disegnati, calzini di cotone
ancora non spaiati “perché poi chissà quante volte se li sfilerà e li perderemo in giro”.
Ci sono così tanti abitini che arrivano da negozi o da altre mamme e mica tutti hanno l’etichetta
“0-1 mese”, no.
Su alcuni c’è scritto “3 mesi”, su altri addirittura “6-9 mesi” perché “vedrai che crescerà così in fretta
che non farai in tempo a cambiarlo”.
Ci sono la navicella, il passeggino, l’ovetto…
“ E lui dov’è?”
C’è una stanza con le pareti grigie, che sembra un luogo senza tempo.
Anzi, il tempo lì dentro sembra scorrere così lento da non passare mai e sembra di stare in un altro
mondo, fatto di suoni ripetitivi di monitors, di luci artificiali, del verde delle divise e del bianco dei
camici. Ci sono lunghe vetrate e immagini di orsetti e stelline qua e là, a ricordare che questo è un posto
dove ci sono dei bimbi.
E poi c’è una culla che non è bianca, non è fatta di legno e non ha le spondine.
C’è una culla che assomiglia a una navicella spaziale fatta di plexiglass trasparente, con degli oblò
come quelli delle lavatrici, delle navi da crociera.
“Ma lui com’è?”
Lui è talmente piccolo che leggendo il peso su quel cartoncino colorato attaccato alla culla, ti viene
da pensare a un pacco di pasta, a un sacchetto di zucchero, a qualcosa di così fragile che si ha timore
solo nel guardarlo per paura di nuocergli.
Lui è attaccato a mille tubi colorati, vestito con un pannolino che per quanto sia piccolo è sempre più
grande di lui e scaldato da cappellino e scarpine di lana colorata, che mani delicate hanno intrecciato con
pazienza e amore.
Lui ha bisogno di essere aiutato a respirare perché i suoi piccoli polmoni non sono ancora in grado di
lavorare da soli e di essere aiutato ad alimentarsi, perché non sa ancora coordinare suzione e respirazione.
Ha bisogno di tempo per crescere.
Lui che … “aveva fretta di nascere”, “non vedeva l’ora di vedere la mamma”, “voleva scombussolare
un po’ i piani”.
“E voi come state?”
Ci sono gli occhi lucidi di mamma e papà dietro agli oblò:
occhi bagnati di tristezza perché sentono parlare di infezione, occhi bagnati di gioia perché lui sta
respirando da solo, occhi sbarrati di fronte al monitor che segnala un’apnea, occhi segnati dalla
stanchezza di tante ore passate seduti accanto ad una culla e dalle notti insonni pensando a quel
lettino ancora vuoto.
Ci sono mani rovinate da quel rito giornaliero con cui si entra in quel mondo strano, dove lavarsi le mani
diventa il primo aiuto concreto che un genitore possa dare al proprio figlio:
non trasmettergli infezioni.
Ci sono momenti in cui una mamma può gioire nel sentire il profumo della pelle del suo bambino
confondersi con il suo attraverso la marsupioterapia e ci sono momenti in cui separarsi e vederlo
tornare in quella culla trasparente diventa un dolore silenzioso, ma lacerante.
C’è il vivere una quotidianità fatta di nuovi orari e nuovi nomi che diventano familiari: gli orari dei pasti
scandiscono le giornate e nomi come “saturazione”, “pcr”, “stabile”, “cpap”…diventano l’oggetto
delle chiacchierate con altri genitori.
“E loro cosa fanno?”
Ci sono tante persone vestite con una tuta verde; alcuni con un camicie bianco, altri ancora con una tuta
azzurra.
Ognuno di loro ha un ruolo preciso e tutti lo stesso scopo: aiutare Lui a crescere bene e a tornare a casa.
Ci sono sorrisi solidali, parole incoraggianti, occhi e orecchie attenti di fronte a un monitor.
Ci sono mani delicate ma ferme, capaci di fare coccole e agire con determinazione in un momento critico.
Ci sono turni che non finiscono mai, ci sono attimi in cui una vita si può stravolgere; momenti in cui è
necessaria molta calma e altri in cui bisogna correre più velocemente possibile.
“ E’ questa la prematurità?”
Prematuro è un bimbo nato prima del termine della gravidanza e come tale è bisognoso di cure e
attenzioni molto speciali al momento della nascita, durante la degenza e nella fase della crescita a causa
dei disturbi neurologici e sensoriali che può presentare.
La prematurità è vissuta giorno dopo giorno da genitori impreparati e preoccupati e professionisti che
lottano contro il tempo e tante difficoltà.
Spesso è una cicatrice abbastanza grande che resterà visibile per sempre; a volte è una ferita che non si
rimargina.
La prematurità è misconosciuta e scomoda, ma esiste.
Il neonato prematuro va conosciuto e difeso.
I suoi genitori vanno supportati.
Gli operatori sanitari che se ne occupano devono lavorare con risorse e aggiornamenti adeguati.
Il 17 Novembre è la Giornata mondiale della prematurità:
una giornata di sensibilizzazione e di speranza.
M.D.
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“If you have health, you probably will be happy, and if you have health and happiness, you have all the wealth you need, even if it is not all you want. “
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